2 luglio 2020
La società in cui viviamo è una società dell’informazione: l’informazione – cioè l’aggregazione ordinata e sensata dei dati – è la linfa vitale che la fa funzionare: essa da sempre scorre attraverso la comunicazione scritta nel mondo fisico e ora scorre abbondante e tumultuosa nel mondo digitale. Le aziende Google, Amazon, Facebook, Apple, Microsoft da qualche tempo sono identificate con l’acronimo GAFAM come un soggetto unitario a dire che sono operativamente accomunate da interessi e modi di operare. Al tasso attuale di crescita i GAFAM saranno nel 2020 la prima potenza economica mondiale – e la materia prima che lavorano e trasformano sono dati e informazione. Non scopriamo oggi l’importanza dell’informazione (e della conoscenza che se ne ricava) per l’evoluzione e lo sviluppo della società e per il miglioramento delle condizioni di vita materiale e immateriale degli esseri umani: la trasmissione delle informazioni e della conoscenza permetteva di far sapere ad altri dove si trovava un pascolo abbondante; o di sapere e commentare che cosa sta facendo un candidato alle elezioni. Ma ora più che in passato l’accesso ai dati e la capacità di selezionarli e ordinarli per trarne informazione è vitale. Una fattura fino ad alcuni anni fa era un foglio, un documento; oggi una fattura elettronica è un insieme di dati strutturati in linguaggio XML. Quando era un documento di carta l’alfabetizzazione alla lettura e scrittura era sufficiente per acquisirne anche solo in modo superficiale il contenuto; oggi per vederne il contenuto occorrono un dispositivo (da smartphone a computer), una connessione internet, un indirizzo email adeguato, un software.
Di qui la domanda su quanto la nostra società sia capace di fare i conti con questo flusso di informazione digitale che orienta e talora condiziona gli eventi. O forse sarebbe meglio dire, su quanto noi, cittadine e cittadini di questa società, siamo capaci di fare i conti con il flusso dell’informazione digitale.
Quando è emerso l’uso abusivo e distorto che Cambridge Analytica aveva fatto dei dati personali di utenti Facebook per influenzare gli esiti delle elezioni americane e del referendum sulla Brexit (si veda l’articolo del Guardian, del 17 marzo 2018 scritto da Carole Cadwalladr e Emma Graham-Harrison, «Revealed: 50 Million Facebook Profiles Harvested for Cambridge Analytica in Major Data Breach», https://www.theguardian.com/news/2018/mar/17/cambridge-analytica-facebook-influence-us-election). molti aspetti della vicenda sono stati commentati ma uno in particolare ci colpisce: se non ci fossero state le rivelazioni di Christopher Wylie quelle operazioni sarebbero continuate senza alcuna possibilità di essere scoperte. In Facebook o non sapevano cosa stava succedendo o non se ne erano accorti o erano conniventi. Nessuna delle tre ipotesi configura una bella situazione.
Nel 2019 nel Play Store di Google sono state scoperte delle app che apparentemente servivano per migliorare le prestazioni del cellulare o per ricevere offerte promozionali ma in realtà esse servivano per intercettare soggetti criminali. Esse sono state scaricate da un migliaio di utenti e sono state scoperte in seguito ad un’indagine condotta dalla rivista “Motherboard” (https://www.vice.com/en_us/article/43z93g/hackers-hid-android-malware-in-google-play-store-exodus-esurv) e dal sito “Security without borders” (https://securitywithoutborders.org/blog/2019/03/29/exodus.html); il gestore del Play Store cioè Google non se ne era accorto e ha rifiutato di commentare la vicenda. Ne hanno parlato, tra gli altri, il supplemento tecnologico del Sole24Ore (https://nova.ilsole24ore.com/nova24-tech/un-migliaio-di-italiani-spiati-per-errore-da-hacker-di-stato-grazie-ad-app-per-android/) e Stefano Quintarelli nel suo blog (https://blog.quintarelli.it/2019/04/centinaia-di-italiani-sono-stati-infettati-da-un-malware-nascosto-da-anni-sul-play-store.html)
La prossima evoluzione dei GAFAM li porterà operare anche nelle attività bancarie. In Agosto 2019 è diventata operativa negli USA “Apple card” la carta di credito di Apple. Facebook ha provato a creare Libra, una criptovaluta (19 giugno 2020 “Libra, ecco come funzionerà la criptovaluta di Facebook” https://www.ilsole24ore.com/art/dall-acquisto-all-uso-pagamenti-come-funzionera-nuova-libra-facebook-ACYfRbS) ma in 6 mesi ha dovuto drasticamente ridimensionare i suoi piani (12 dicembre 2019 “La grande fuga da Libra: tutti scappano dalla criptovaluta di Facebook” https://www.ilsole24ore.com/art/la-grande-fuga-libra-tutti-scappano-criptovaluta-facebook-ACKPyXr). Il ridimensionamento dice la complessità della cosa, non che non ritorneranno alla carica. In effetti con l’evoluzione dalla rappresentazione in metallo prezioso alla plastica della carta di credito il denaro mostra oggi in evidenza la sua natura di dato+informazione, cioè quella materia prima con cui i GAFAM operano da tempo. Finanziariamente i GAFAM operano in modo transnazionale per minimizzare o eludere le tasse massimizzando il proprio vantaggio economico. Se diventeranno banche, cambieranno modus operandi per adeguarsi della complessità dei vincoli verso la società civile? permetteranno i dovuti controlli sul loro operato, già delicati e difficili nel caso delle banche tradizionali? che forma prenderanno nel loro caso le garanzie che le banche prestano ai clienti?
Sono solo tre casi esemplari tra tanti che si potrebbero ricordare. Sorridiamo quando ci raccontano che un secolo fa chi era anemico si curava bevendo acqua e limatura di ferro sottile sottile, ma oggi di fronte all’informazione siamo in una situazione simile: crediamo di sapere ma non sappiamo abbastanza. La formazione ricevuta nella scuola, centrata sul mondo della stampa, deve espandersi al mondo digitale dell’informazione. Espandersi: perché la base di tutto è sempre l’alfabetizzazione al mondo della lettura e scrittura che non si riduce a tracciare i segni e riconoscerli ma significa essere soggetti pienamente acculturati nel mondo fisico. All’interno di questa alfabetizzazione di base, lunga e complessa, si può costruire una valida formazione al mondo dell’informazione digitale.
A questo proposito occorre segnalare che i programmi ministeriali per il concorso della scuola che prenderà avvio in settembre 2020 (https://www.miur.gov.it/documents/20182/2432359/Allegato+A+Programmi+concorso+secondaria+02022020+uv-signed.pdf/b813a133-7ab9-cfd9-6421-f18440af328a?version=1.0&t=1587564350930) – programmi che definiscono quali conoscenze e competenze si richiedono a chi vorrà fare l’insegnante – non conoscono tutto questo. Digitale e computer sono assenti nei programmi di area umanistica (con l’eccezione dei programmi di Musica per la scuola media e di Storia della musica per le scuole superiori); sono presenti invece nei programmi di discipline tecnico/scientifiche/tecnologiche ma con significato produttivo/applicativo. Nulla che rimandi alla costruzione di consapevolezza critica e conoscenza sul mondo digitale e sulla società dell’informazione. A dire che progetti come “Sapere digitale” rispondono ad una necessità che fatica a trovare risposte di sistema.
L’urgenza di questa formazione all’informazione digitale è nei fatti, perché il digitale ha una crescente preminenza operativa sul mondo fisico e su ciò che avviene in esso. L’attività umana nel mondo fisico (attività commerciali, scuola, trasporti, meteorologia, …) si presenta nel mondo digitale sotto forma di dati (orari di treni, notizie di eventi, registrazioni di musica, …) che vengono cercati (per esempio: sito di Trenitalia) e successivamente selezionati, filtrati, ordinati in modo da ricavarne informazioni (treno da Torino a Trieste?). L’indagine nel mondo digitale permette di decidere come operare nel mondo fisico: scegliere un treno, farsi un’opinione su eventi e decidere come votare alle elezioni, ascoltare una canzone o guardare un film. In altre parole il mondo digitale è proprio, per eccellenza, il mondo dell’informazione – non solo per il fondamento elementare su cui è costruito (il bit), il che potrebbe essere interessante solo per gli addetti ai lavori; ma anche perché a livello macroscopico si presenta come un arricchimento della nostra interazione con il mondo fisico grazie alle informazioni che ci fornisce su di esso. Quanto più sappiamo interagire e operare fluidamente tra mondo fisico e mondo digitale tanto più siamo cittadine e cittadine della società dell’informazione, parte consapevole ed attiva di essa.
A chi voglia essere presente e attivo nel mondo digitale tutto sembra indicare che basti avere in mano un dispositivo e usarlo. Per essere operativi sulla rete stradale non basta acquistare un mezzo – da un ciclomotore a una Ferrari – mettersi alla guida e partire: non è così e anzi crederlo non può che portare danni a sé e agli altri. Nell’infografica che riassume alcuni elementi del rapporto ISTAT “Internet@Italia2018” (Bologna, Emanuele, Rita Fornari, Laura Zannella, Cosimo Dolente, e Giacinto Matarazzo. «Internet@Italia 2018. Domanda e offerta di servizi online e scenari di digitalizzazione». Fondazione Ugo Bordoni e ISTAT, s.d. https://www.istat.it/it/files//2018/06/Internet@Italia-2018.pdf) si legge “nessuna/bassa competenza digitale per chi accede alla Rete”. Si crede invece che per essere operativi nella Rete sia sufficiente avere in mano il dispositivo. In effetti le interfacce sono facili e in gran parte si opera con la scrittura – sì, ma la scrittura intesa come tracciare e riconoscere i segni, o la scrittura come veicolo di interazioni intenzionate, consapevoli, di pensiero con altre persone nel contesto delineato dall’etica e dalle leggi?
Per operare correttamente e con soddisfazione nel mondo digitale occorre essere formati: avere conoscenze e saperle usare in relazione al contesto (competenza). Questa formazione di base all’informazione nel mondo digitale ha come obiettivo a medio-lungo termine la formazione permanente e l’auto-formazione. Poiché il mondo digitale è in evoluzione continua e veloce, per tenerne il passo la formazione deve essere permanente (apprendimento che dura per tutta la vita, come dice l’espressione inglese lifelong learning). Ciò non significa ‘andare tutti a scuola per tutta la vita’ bensì saper individuare/costruire da sé le occasioni di formazione necessarie alla propria condizione di vita e ai propri obiettivi di evoluzione: “In ultima analisi le persone formate all’informazione sono quelle che hanno imparato come imparare. Sanno come imparare perché sanno come la conoscenza è organizzata, sanno come trovare l’informazione e sanno come usarla per far sì che altri possano imparare. Sono persone preparate ad imparare per tutta la vita perché in qualsiasi situazione sanno sempre trovare l’informazione necessaria.” (ACRL. «Presidential Committee on Information Literacy: Final Report». Washington DC: Americal Library Association, 10 gennaio 1989. http://www.ala.org/acrl/publications/whitepapers/presidential)
Da un lato non si vede chi oggi nel nostro Paese in maniera istituzionale e continuativa offra questa formazione, nonostante l’urgenza. Dall’altro lo Stato e suoi rappresentanti comunicano sempre più per via digitale – dai tweet ai siti dei Ministeri e delle amministrazioni sul territorio (Province, Comuni, Enti, …) – e solo coloro che sono presenti nel mondo digitale in modo consapevole e competente riescono a valutare e ad agire in modo efficace. L’esito indesiderabile è che chi non ha questa competenza rischia di scivolare verso una cittadinanza incompiuta/incompleta, in cui resta tagliato fuori dal mondo. L’”Indagine LaST” pubblicata da La Stampa il 7 aprile 2019 mostra che gli intervistati che desiderano uscire dall’Europa e tornare alla lira sono in prevalenza persone più avanti in età, con basso titolo di studio, ai margini del mercato del lavoro – casalinghe e disoccupati; cioè le stesse macrocategorie di persone che avrebbero maggiore bisogno di formazione al mondo digitale.
Per strutturazione storica e per trasversalità ai campi del sapere, il contesto in cui si trova oggi più consapevolezza su questi temi e problemi è quello delle biblioteche e dei bibliotecari che non a caso sono il soggetto più attivo (quasi l’unico) a curare formazione. A titolo di esempio ricordiamo il corso “Information Literacy nella scuola: insegnanti e bibliotecari in azione” riconosciuto dal MIUR e disponibile sulla piattaforma SOFIA, il workshop torinese del 5 dicembre 2018 organizzato da AIB Piemonte sul tema “Educazione civica digitale in Piemonte: il ruolo delle biblioteche a supporto delle scuole, dei cittadini e dei lettori”, il MOOC “INFODOCPASS” dedicato alle competenze digitali e alla library literacy di base realizzato dal Dipartimento DUSIC dell’Università di Parma, il blog BiblioVerifica, o lo stesso progetto “Sapere Digitale”.
E’ chiaro anche dagli esempi riportati qui sopra che la formazione all’informazione digitale e l’information literacy sono parte di una più ampia prospettiva di educazione civica digitale di cui il mondo delle biblioteche si sta facendo promotore. E quindi si potrebbe concludere che in realtà c’è oggi nel nostro Paese chi offre questa formazione e dunque l’urgenza è risolta. Non è così: il fatto che nella scuola si usino i libri per studiare non significa che il compito di insegnare sia dei bibliotecari; e allo stesso modo il fatto che le biblioteche, e i professionisti che vi operano, forniscano formazione sui temi della digital literacy e dell’information literacy è in buona misura opera di supplenza rispetto ad altri soggetti ai quali spetterebbe istituzionalmente di farsi carico della risposta globale. Che non è risposta ad un problema delle biblioteche, ma ad un’urgenza di coinvolgimento responsabile, attivo, consapevole, alla vita della società e al suo progresso (sì, crediamo ancora al progresso della società).
Maurizio Lana